Nelle scorse settimane abbiamo avuto modo di recensire un’opera a fumetti made in italy che ci ha molto colpito, Instantly Elsewhere, edito dalla casa editrice Shockdom e realizzata dal duo Palloni\Martoz, con entrambi abbiamo quindi pensato di realizzare una breve intervista, per saperne di più sulla loro visione del fumetto.
Instantly Elsewhere: La recensione
Come hai scoperto la tua passione per il mondo della nona arte ?
Non c’è un momento preciso, nei film direbbero qualcosa di drammatico come “l’ho sempre saputo”. In realtà ci sono almeno tre fattori che mi hanno fatto dire: i fumetti sono la mia vita.
Fattore uno: ricordo quest’attrazione incredibile per un fumetto di Superman che vidi in un film (“Toy”, con Richard Pryor) quando avevo qualcosa come sei anni. Chiesi a mia mamma di comprarmi QUEI fumetti lì, non Topolino, che mi aveva già rotto le palle. Dopo un po’ di false partenze mi sono ritrovato in mano a quell’età gli oscurissimi numeri dell’Uomo Ragno. Era il 1994, mi pare. Fu amore istantaneo.
Fattore due: sempre mia madre, e sempre in quell’anno, decise che leggere fumetti non bastava: i libri erano più formativi, no? Solo che tutte le robe che mi propinava non mi interessavano. Quindi mi fu concesso di leggere qualcosa vicino ai miei gusti televisivi: “Licenza di Uccidere” di Ian Flaming, un romanzo violentissimo, pieno di sesso e immoralità. Figata. Fattore tre: ho sempre avuto la necessità di buttare situazioni su carta. Non immagini statiche, ma eventi, azioni. Solo col senno di poi ho capito che quelli erano già fumetti, anche se le immagini non erano separate dallo spazio bianco e i disegni erano di un bambino con le capacità di una scimmia ubriaca. Oggi è più o meno lo stesso, solo che uso lo spazio bianco e la scimmia è sempre scimmia, ma meno ubriaca.
Quali sono le tue fonti di ispirazione per quanto riguarda la scrittura ?
Domanda complessa. Nella fruizione dei fumetti la scrittura è intrecciata con l’immagine in un modo inestricabile; solo quando salti dall’altra parte e diventi autore capisci l’importanza della scrittura. Nella mia adolescenza Alan Moore, Frank Miller, Mike Mignola e David Mazzuchelli (le “Quattro M”, come li chiamo io) sono stati fondamentali per imparare come si gestisce in modo ottimale la tavola, ognuno a suo modo ovviamente. Poi crescendo, leggendo tantissimi libri di prosa, frequentando corsi, workshop, e poi la Scuola di Comics di Firenze, non potevo non essere ispirato da quelli che sarebbero stati i miei mentori (Matteo Casali per la forma e l’approccio mentale alla sceneggiatura; Samuel Daveti, mio collega di Mammaiuto, per il contenuto, la sintesi, e la filosofia dietro la scrittura) e dai miei “maestri di carta”: il già citato Ian Fleming, Giorgio Scerbanenco, Donald E. Westlake, Boris Vian, James Ellroy, Ray Bradbury, e chi più ne ha più ne metta. Un bel paciugo di ispirazioni, direi.
Nella tua carriera hai avuto modo di conoscere realtà diverse da quella italiana, quali sono le differenze che hai notato?
Ho avuto e ho tutt’ora la fortuna di lavorare per case editrici francesi, cosa che mi ha permesso di viaggiare, di andare Oltralpe e capire le differenze di approccio umane e professionali. La differenza con l’Italia è semplice e abbastanza univoca: in Francia fare fumetti è un lavoro, sei un professionista, come un idraulico, un panettiere, un barista. A volte anche meglio, se ti fai un certo nome. Ma la base è: fare fumetti è un lavoro e ti trattano come se quello fosse tale. In Italia, vuoi per mancanza di soldi o ignoranza degli editori, è spesso l’opposto: c’è un trattamento di sufficienza, un fondo di viltà e una parvenza di carità nel rapporto editore-autore. In Francia c’è una cura, un amore per la forma libro, per il creare l’oggetto, che mi rende sempre cosciente della fortuna di lavorare non solo in Italia, dove si tende a risparmiare perchè il mercato è minuscolo, i lettori pochi e disinteressati. Poi è ovvio che i Francesi abbiano i loro limiti: c’è una scarsa lungimiranza del mezzo, non una mancanza di coscienza, ma una consapevole restrizione del mercato a certe regole che sembrano far vendere di più. Ma non sono d’accordo. Una volta svezzato, se il lettore è in grado e vuole continuare ad esserlo, si leggerà di tutto. Non gli serviranno le quattro strisce, il formato “album”, le onomatopee. Il fumetto è fumetto, alcuni editori già lo sanno (i più grandi) altri non se lo immaginano (i piccoli) altri sono in procinto di capire (gli editori medi). Sempre meglio del nostro mercato, secondo me totalmente precario e senza speranza. Ma questa me la tengo per la domanda numero cinque.
Come nasce il tuo ultimo lavoro per Shockdom Instantly Elsewhere?
IEW (come mi piace chiamarlo) nasce dall’esigenza di dire a me stesso che io non sono il mio lavoro. Coincidendo per me hobby e lavoro, è spesso complesso capire dove la mia vita privata finisce e comincia il “worktime”. E comunicando con me stesso solo attraverso le storie che racconto, non avevo altra scelta. Che poi mi sia venuta in mente l’idea proprio nel momento in cui facevo la conoscenza di un personaggio romano pazzissimo e pieno di brio chiamato Alessandro “Martoz” Martorelli, è tutta coincidenza. Ma se una coincidenza è un caso, due sono una prova: e mi serviva la prova che fosse abbastanza matto, per proporre ad Ale di disegnare il progetto. Gli è piaciuto, abbiamo fatto un proposal per la Francia che è stato un buco nell’acqua, ma l’editore spagnolo Spaceman Project è risultato interessato e abbiamo iniziato un crowdfunding internazionale per il libro. Che è andato male. Non malissimo, anzi, per due autori sconosciuti come noi, ma abbastanza male da non finanziare il progetto. Shockdom però si è fatta avanti, e il libro è uscito con loro. Un po’ tortuosa come genesi, ma sia io che Ale siamo d’accordo su un punto: se avessimo fatto il libro quando l’ho pensato, nel 2015, sarebbe venuta una merda. Scritto e disegnato nel 2018, invece, ha assunto tutto un altro significato per noi, e la nostra maggior capacità e consapevolezza autoriale è servita, semplicemente, a fare un libro bello, migliore di quanto ci aspettavamo. Ne sono molto orgoglioso.
Cosa ne pensi della situazione attuale del mondo del fumetto made in italy?
Eccoci alla patata bollente. Dividerei la mia risposta in due sezioni: editoria e autoproduzione. Editoria: penso che l’idea che si vendano più fumetti sia falsata da un maggiore interesse dei media per le cosiddette “graphic novel”, ma in realtà potrebbe essere una bolla speculativa che potrebbe scoppiare presto o tardi. Siamo il paese europeo con meno libri letti pro capite in un anno e il 70% degli Italiani è analfabeta funzionale, secondo l’ISTAT. Quanto possiamo sperare in un mercato che si appoggia a dei clienti che sono in realtà una minuscola élite? Aggiungici l’ignoranza e il terrore degli editori ad investire o a proporre qualsiasi cosa svicoli minimamente da un sentiero di vendita presunta, e avrai uno scenario presente e futuro non entusiasmante, per quanto si urli al miracolo. Autoproduzione: è entusiasmante. Senza scherzi. Ne parlo da autoproduttore, da membro di Mammaiuto: l’autoproduzione italiana è all’avanguardia in Europa più o meno su tutti i campi editoriali. Con un minimo di accortezza e di fortuna, un autore può vivere di autoproduzione gestendo i propri diritti in giro per il mondo. Ci stiamo provando proprio con Mammaiuto. E le produzioni di collettivi indipendenti e di autoproduzioni come Mojo, Delebile, Brace, Amianto, Stigma, Locke Zine (per fare un esempio, perchè di virtuosi ce ne sono tantissimi) dimostra la qualità narrativa ed editoriale che una persona o un gruppo può raggiungere senza passare da canali distributivi. é uno strano Inferno, l’Italia, ci si vive benissimo e malissimo al tempo stesso.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Nel 2019 cercherò di battere il mio numero di pubblicazioni. Nel 2018 sono state sei, quest’anno forse saranno un pelo di più. Di sicuro ho un libro in uscita a febbraio in Francia, “Emma Wrong”, disegnato da Laura Guglielmo, per Akileos; una storia unica divisa in due volumi per Sarbacane (“The Desolation Club”, disegnato da Vittoria Macioci); la riedizione di un libro uscito per Mammaiuto nel 2016 e che annunceremo presto; un libro di storie brevi; un adattamento di un progetto scientifico con l’Università degli Studi di Siena. E poi ci sono parole che forse saranno progetti, impegni che forse diventeranno nuovi lavori, e via discorrendo. So solo che dovrò disegnare sulle 400 pagine, da qui a dicembre, e scriverne il doppio. Mi gira un po’ la testa, ma ci sono storie da raccontare e fogli da scarabocchiare, ed è una droga.
Non possiamo che augurare il meglio a Lorenzo Palloni per i suoi prossimi lavori e ringraziarlo per la disponibilità che ci ha dato .